L’Italia, e il Mezzogiorno in particolare, ha il primato dello spopolamento e dell’abbandono di paesi che conservano tradizioni e testimonianze sociali e umane, sono portatori di cultura, saperi e storia.
Giuseppe Lupo ha descritto un territorio dove “il tempo transita più lentamente” e dove “chi ci abita ama rincorrere il mito di altre geografie, desidera fuggire verso il teorema di una modernità urbana e mercantile, vuole abbandonare case e terre in nome di un astratto dinamismo, di un bisogno di vita allegra”.
L’approccio per un’inversione di tendenza dovrebbe essere di rispettare e visitare i luoghi più periferici per accertarne l’esistenza, attraversarli e scoprirli; incontrare le persone, ascoltare e conoscere la loro cultura che è la cultura del territorio; rilevare le risorse costruite intorno ad una storia millenaria.
Se il territorio cilentano ha caratteristiche diversificate: costiera, pianura, rilievi montuosi, che hanno permesso la differenziazione della presenza della popolazione, è proprio la zona più impervia, quella dell’interno, che costituisce una cultura più resistente. È ciò che ho individuato come Genius loci: lo spirito, l’anima, l’atmosfera che si respira, ma anche i colori, gli odori, i suoni, il linguaggio della popolazione, il silenzio. È questo un aspetto trasversale, che riguarda il rapporto tra l’ambiente e l’uomo e le sue abitudini: indica il carattere di un luogo, legato a doppio filo agli aspetti che in esso si affermano, includendovi le opere materiali o immateriali, gli enti e gli individui cui si associa un legame storico-culturale che rende unico e immediatamente riconoscibile un’area.
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