In controtendenza rispetto a ciò che si è sempre sostenuto, cioè che con la cultura non si mangia, oggi emerge una differente tendenza che vede la cultura integrare la scarsa capacità produttiva su larga scala, ovvero l’industria che certamente non può raggiungere i territori più isolati, ricchi di un importante patrimonio storico-culturale. Questi ultimi vivono il fenomeno dello spopolamento, a volte anche per inseguire un’industria che permette di aggregare una parte della popolazione molto più vasta, ed allora ci si trasferisce, abbandonando territori marginali, zone che presentano condizioni su cui si potrebbe puntare attraverso una capacità progettuale più incisiva. E ciò senza trascurare ciò che può offrire la tecnologia, le forme attuali di comunicazione, che possono essere attivate anche da zone meno raggiungibili.
Leggendo l’ultimo Rapporto Svimez 2022, rilevo la parte che concerne attività che sono al di là di quelle definite dalla tendenza industriale, che pone il focus su due questioni: a) la capacità progettuale degli Enti locali individuati a tradurre in progetti le scelte di investimento, oggi ingenti per il PNRR; b) ecosistemi di innovazione, misure cruciali per potenziare i processi di trasferimento tecnologico.
Si parla di Mezzogiorno, ovvero di volontà sempre declamata di interventi per lo sviluppo. In questo ambito, oltre ad energia e ambiente, di cui si parla negli ultimi tempi in maniera diffusa, l’interesse è per il patrimonio culturale.
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