La sociologia si occupa di ambiti, anche intesi come campi: è la posizione di Pierre Bourdieu, di cui quest’anno ricorre l’anniversario della sua morte, avvenuta vent’anni fa, nel 2002, che ha impiegato la sua intera speculazione sociologica intorno alle nozioni di campo, habitus e pratica.
A tal proposito, la casa editrice Armando un paio di mesi fa ha ripubblicato il volume: Il senso pratico, edito nel 1980, un’esposizione ricca e articolata delle tematiche relative a: habitus, corpo, pratica, dominio, capitale simbolico, relazione tra soggettivo e oggettivo. Il campo è uno spazio sociale dove le azioni che compiono le persone non sono né obbligatorie e determinate dalla struttura, né libere e determinate da scelte razionali. Esse sono automatiche, generate dall’esperienza pregressa e generante un nuovo bagaglio esperienziale.
L’idea proposta riguarda proprio questi concetti, come prosecuzione delle argomentazioni precedenti. L’approccio di Bourdieu si realizza nella nozione di campo ed è riferita, ad esempio, ai classici che molti faticano a contestare. Marx, Weber, Durkheim devono essere considerati con e contro, perché la scienza è fatta per essere superata: occorre servirsi di ciò che uno studioso ha fatto per poterlo superare. Affermava che non si disconoscono i percorsi tracciati ma si integrano, cercando di apportare altre tesi, anche antitetiche, che comunque arricchiscono il dibattito e la crescita di una modalità di studio delle realtà sociali.
Le parole del sociologo contribuiscono a costruire le cose sociali, e siccome il mondo sociale è abitato dalla sociologia reificata, “i sociologi dell’avvenire scopriranno di più nella realtà se studieranno i prodotti sedimentati dei lavori dei loro predecessori”.
Oltre che di campo, Bourdieu parla di habitus, di condotte/azioni orientate ad un fine, senza essere il prodotto di una strategia cosciente o di una determinazione meccanica. È il funzionamento dell’habitus, come disposizioni acquisite nelle relazioni, che diviene “efficiente e operante” quando incontra “le condizioni della sua efficacia, ossia condizioni identiche o analoghe a quelle di cui esso è il prodotto”.
In altri termini, l’habitus è generatore di pratiche di un universo simile. Gli agenti si lasciano andare alla loro natura, a quello che la storia ha fatto di loro, per essere naturalmente adattati al mondo storico con il quale devono confrontarsi, “per fare ciò che è necessario, per realizzare l’avvenire potenzialmente inscritto in questo mondo in cui essi sono come pesci nell’acqua”. Le azioni non sono il prodotto di un calcolo economico razionale, ma dell’incontro tra un habitus e un campo, tra storie adattate.
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