Ricevo e pubblico il lavoro di Nisia Orsola La Greca Romano, sulla festa del Santo Patrono nella tradizione culinaria del territorio.
GIORNO DI FESTA
Tradizioni culinarie del Cilento nei giorni di festa del Santo Patrono
Molteplici sono i luoghi in cui, il 16 luglio, si festeggia la Madonna del Carmine o del Carmelo, giorno in cui si ricorda quando il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.), dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando la pioggia e salvando Israele dalla siccità. Il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al beato Simone Stock, al quale diede lo «scapolare» col «privilegio sabatino», ossia la promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.
Proprio nel cuore del Parco Nazionale del Cilento sorge Catona, frazione collinare del comune di Ascea, immersa tra ulivi secolari e castagneti. Il suo nome pare derivi dal romano Catone l’Uticense che in questa zona aveva fatto costruire una villa attorno alla quale si sarebbe sviluppato il borgo. Suggestivo ed interessante è il Santuario della Madonna del Carmine, il quale fa parte delle cosiddette “Sette Sorelle”, insieme alla Madonna del Granato, Capaccio Vecchio, Monte Vesole Sottano; Madonna della Stella, Sessa Cilento, Monte della Stella; Madonna della Civitella, Moio della Civitella, Monte Civitella; Madonna della Neve, Piaggine-Sanza, Celle di Bulgheria, Monte Cervati; Madonna di Pietrasanta, San Giovanni a Piro, Monte Pietrasanta; Madonna del Sacro Monte, Novi Velia, Monte Gelbison o Sacro. Le sette Vergini situate su sette alture, che si chiudono a cerchio verso il mare, dominando e proteggendo il Cilento dall’alto.
A Catona, la statua della Beata Vergine è tenuta nella chiesa madre durante l’anno e viene portata in processione alla cappella solo per la novena. La processione compie prima tre giri attorno alla cappella, passando sempre tra la Prèta (la pietra della fecondazione) e l’Albero della Vita per poi scendere nuovamente in paese.
Particolare è , inoltre, la celebrazione che si fa a Pagani (SA),nei giorni di venerdì, sabato, domenica e lunedì in albis, di questa Madonna, detta “Madonna delle galline” poiché «La leggenda narra di una frotta di galline raspanti che riportò alla luce una tavola con il volto della Vergine. Il ritrovamento fu immediatamente interpretato come manifestazione divina e ne seguì la decisione di creare un appropriato luogo di culto, che si sarebbe evoluto successivamente nell’attuale chiesa santuario. La tavola, probabilmente portata da monaci sfuggiti dall’Oriente nell’VIII-IX secolo per sottrarre le sacre immagini alla distruzione iconoclasta, poi, si sarebbe rovinata ed avrebbe determinato l’incarico ad un artista di riprodurre la tela seicentesca, ufficialmente accolta con un segno miracoloso e venerata oramai da quattro secoli.» (G. Mancini, “Feste e Riti d’Italia”).
Non mancano tradizioni culinarie a rendere speciali e tanto attesi questi giorni, soprattutto nei tempi più antichi, quando ogni momento di queste giornate era un rito, da svolgere attentamente.
“Il giorno della festa del Santo Patrono del paese, era la ricorrenza più attesa dell’anno in quanto era occasione per riposarsi dal duro lavoro dei campi e incontrare gli amici dei paesi vicini a pranzo: non si concepiva il pranzo di mezzogiorno senza la presenza di un ospite. Molti, ci dicono, se capitava di non avere avuto la possibilità di invitare un amico, allora cercavano tra i tanti forestieri che per la festa arrivavano in paese e ne invitavano almeno uno: il pranzo diventava così allegro e si ascoltavano dal forestiero i fatti degli altri paesi e se ne individuavano i protagonisti.” (AA.VV. “Feste Pagane e Feste Cristiane nella tradizione culinaria del Cilento”, Centro di cultura storica cilentana e tradizioni popolari). Diffusissima era l’usanza di recarsi , nella mattina della festa, a comprare la carne di castrato dai macellai ambulanti; fortunato chi riusciva a prenotare per primo questo o quell’altro pezzo di carne. Tutto ciò rappresentava un momento di gioia non solo per i grandi, ma anche per i più piccoli.
Ad Omignano , ad esempio, in occasione del pellegrinaggio al Santuario del Monte della Stella, i proprietari della cappella , la famiglia De Feo, erano soliti offrire ai pellegrini i cosiddetti “timpàni” : 200 gr di maccheroni, 100 gr di formaggio fresco, 100 gr di formaggio grattugiato, 250 gr di soppressata; per la sfoglia, 4 uova, 1 kg di farina, 200 gr di strutto. ” Si cuociono i maccheroni, poi con la schiumarola si mescolano al formaggio e alla soppressata spezzettata; il tutto si versa in un ruoto, unto di strutto, dove già è stata sistemata la sfoglia nella quale si avvolge tutto l’impasto; si cuoce al forno, precedentemente surriscaldato”.
A Felitto, inoltre, dal 12 al 15 giugno , in onore di San Vito, durante la processione fino alla cappella del Santo, sulle soglie delle abitazioni , su tavoli imbanditi, si è soliti offrire i Taralli di San Vito. Una famiglia prescelta, poi, offre in dono al Santo un tarallo di dimensioni più grandi (” ‘U Tarallo re S. Vito”) : 200 gr di farina, 12 uova , 10 gr di sugna, 2 cucchiai di olio d’oliva, lievito q.b. ” Amalgamato il tutto e ricavatane la forma di una grossa ciambella, lo si fa lievitare per 3 ore; viene, poi, immerso in qualche secondo in acqua bollente, quindi cotto al forno”.
” ‘ A pizza ‘roce” di Acciaroli: 10 uova, 10 cucchiai di zucchero, 10 cucchiai ben pieni di farina; per la crema, 8 cucchiai di farina, 8 tuorli d’uovo , 1 lt di latte. ” Si sbattono i tuorli con lo zucchero e , a parte, l’albume si monta a neve; poi si amalgama bene il tutto e si versa in un ruoto bel oleato con la sugna; si mette a cuocere in forno preriscaldato e a temperatura media. Preparata a parte la crema, il pan di spagna, appena freddo, si farcisce con essa; la parte superiore viene, invece,ricoperta di glassa” (Per tutte le ricette, aa.vv. “Feste Pagane e Feste Cristiane nella tradizone culinaria del Cilento”, Centro di cultura storica cilentana e tradizioni popolari)
Nel giorno della festa, inoltre, si era soliti offrire agli amici e ai forestieri il “lammiccàto”, vino spumante dolce imbottigliato da almeno tre anni ed invecchiato per non più di nove.
Oggi poco è rimasto, ma nonostante ciò , riusciamo comunque a ritrovare piccoli borghi in cui sono ancora vive queste abitudini, che tutt’oggi divengono anche un motivo di attrazione turistica, dando vita alle numerose sagre cilentane dei mesi estivi.
Nisia Orsola La Greca Romano
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