Il mondo magico di Ernesto de Martino
di Pasquale Martucci
“Presenza, esserci nel mondo, esserci nella storia sono espressioni equivalenti per designare la modalità umana in atto di distinguersi dal vitale biologico e di aprirsi alla distinzione delle (…) potenze operative creatrici di cultura e di storia: l’utile, la vita morale, l’arte, il logos”.
Ernesto de Martino era stato durante la sua formazione molto influenzato dalla filosofia crociana e dal suo indirizzo storicista. Quando scrisse l’opera: “Il mondo magico”, e si occupò del concetto di presenza, l’esserci nel mondo, in un orizzonte storico tra il polo della memoria, quello della progettualità sociale, senza trascurare la dimensione del presente, attuò una presa di distanza dalla cultura storicistica crociana, incapace di aprirsi alla comprensione di ciò che è situato oltre i confini della civiltà per così dire colta.
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Le posizioni di de Martino, che credeva fossero necessari studi sistematici e complessivi per conoscere la cultura di una società, erano già presenti nel primo importante lavoro: “Naturalismo e storicismo nell’etnologia”, che segnò l’inizio di una ricca riflessione critica nel campo delle teorie etnologiche dominanti in ambito internazionale; in seguito, ne: “Il mondo magico”, sviluppò l’idea di una etnologia che, attraverso lo studio dell’altrui civiltà, mettesse in rilievo gli elementi di criticità della cultura del mondo cosiddetto civile. Sviluppando la sua speculazione etnologico-religiosa, indagò infine anche i vari aspetti della psicologia e delle scienze psichiatriche, che costituiranno l’ultimo periodo della sua attività di studioso, ed in particolare l’opera pubblicata postuma: “La fine del mondo”.
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Scoprì così la drammatica umanità di quel mondo subalterno, che andava analizzato e interpretato con gli strumenti storici, con le tecniche della ricerca etnologica, avvalendosi delle teorizzazioni gramsciane sul folklore meridionale.
Nel 1951, Ernesto de Martino scriveva:
“Il folklore, per la concezione borghese, è la cultura popolare nel senso tradizionale, cioè le costumanze, le credenze, le feste, i prodotti letterari che esprimono le aspirazioni tradizionali del popolo. A noi questa vita culturale del popolo orientata nel senso del passato deve certamente interessare (…) per la ragione che per modificare la tradizione bisogna conoscerla. (…) D’altra parte il folklore non è soltanto tradizione, memoria presente del passato, ma contiene anche motivi progressivi, vivaci riflessi delle aspirazioni attuali del mondo popolare, e accenni e indicazioni verso il futuro”.
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