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Intorno alla zona di San Vito, nel comune di Montecorvino Pugliano, si è concentrata l’attenzione di Generoso Conforti, che ha realizzato il volume: “San Vito di M. Pugliano e la cappella omonima” (Arci Postiglione, 2023). Si tratta di un lavoro articolato con riferimenti storici che ricostruiscono le vicende del territorio, l’ubicazione e la viabilità, le condizioni socio-economiche, le famiglie percorrendo la loro storia.

Attraverso la raccolta e la consultazione di fonti archivistiche e documenti, a volta inediti, Generoso Conforti ormai da tempo si dedica alla ricostruzione della vita e della storia di alcune famiglie che hanno dato lustro al territorio. Ripercorre le loro vicende, compone alberi genealogici per permettere al lettore di districarsi nei secoli e nelle dinamiche familiari, riporta foto antiche e propone così un passato che altrimenti andrebbe dimenticato. Fornisce stimoli per riflettere sulle tradizioni e gli usi di un tempo e delineare il senso di quelle comunità.

I suoi studi attestano come nei secoli alcune famiglie hanno cercato di progredire ed evolvere per acquisire un posto più elevato nella scala sociale, anche se nella zona di San Vito l’incremento della popolazione avvenne solo con l’opera di bonifica, avviata negli anni trenta e completata negli anni cinquanta del novecento: da quel momento ci fu la massiccia coltivazione delle terre e la residenza permanente delle prime famiglie. La Riforma Agraria ed i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno portarono all’intensificazione e alla specializzazione della produzione agricola: la gestione fu radicalmente modificata con la creazione di aree irrigue e la riduzione di prati e pascoli con conseguente mutamento del paesaggio agrario. Con il passar degli anni ci fu l’edificazione di fabbricati e cominciarono a sorgere i primi esercizi commerciali.

Nell’immediato dopoguerra, il territorio di San Vito ebbe un notevole sviluppo urbanistico, con la costruzione di case rurali, sparse nel territorio circostante la Cappella; infine, negli ultimi decenni, si è avuta un’ulteriore espansione demografica, con la presenza sul territorio comunale di aree commerciali ed aziendali e con l’apertura, nel dicembre 2009, del nuovo svincolo autostradale.

Le famiglie su cui si è soffermata l’attenzione di Conforti e che hanno determinato lo sviluppo abitativo della contrada sono: Bove, Carluccio, Corrado. D’Apice, Della Corte, Fiorillo, Gallo, Giliberti, Giuliano, Maiorano, Palo, Schettini, Stabile, Vivone. Su di esse, ha prodotto albero genealogici che risalgono anche al seicento, con l’elenco completo di tutte le diramazione e le costellazioni familiari. Non mancano alcune tabelle con l’indicazione delle famiglie che hanno dimorato nella zona a partire dal 1915, 1928, 1951 (capifamiglia), 1960, 1991 (capifamiglia).

Per trattare alcuni esempi di famiglie importanti in questo territorio, oltre alla consultazione della documentazione prodotta, credo sia utile soffermarsi sulle immagini che arricchiscono il volume.

Dalle stesse si può rilevare la società che abbraccia all’incirca il novecento, anche se le foto più numerose partono dalla metà del secolo scorso.

Prima di entrare nello specifico, devo fare qualche riflessione su ciò che è la fotografia e l’approccio visuale, in considerazione che il mondo in cui viviamo si fonda sulle immagini, che permettono di avere una percezione più forte del rapporto dell’uomo con il mondo esterno, quel mondo altro da sé che consente di costruire la propria identità culturale, il proprio senso di appartenenza sociale ed esprimere la propria soggettività. Le immagini permettono di compiere un esercizio di immedesimazione, contestualizzazione, espressione emotiva; presentano una realtà riprodotta, la rappresentazione di una cosa o di un fatto, di conseguenza si può affermare che la fotografia è un documento e una testimonianza.

Per Pierre Bourdieu la fotografia è un modo di guardare, perché le immagini svolgono qui una funzione documentaria e di testimonianza mnemonica, attribuendo rilevanza a persone e cose raffigurate. Il suo pensiero anticipa in parte la proposta di Franco Ferrarotti di conferire alla fotografia il ruolo di documentazione sociologica, che diviene quindi ancora più osservativa e partecipe ed accoglie l’immagine nell’analisi e nell’interpretazione delle dinamiche sociali. Per acquisire legittimità scientifica, la fotografia deve attenersi ai criteri, con procedure teoricamente e metodologicamente fondate, di validità (principio di corrispondenza fra immagini e concetto) e attendibilità (credibilità tecnica) prima, di comparabilità, coerenza e convergenza. Diventa importante l’interpretazione dell’immagine riprodotta: “la realtà umana, non può trovarsi nella fotografia, ma nell’intenzione del fotografo” (F. Ferrarotti, 1974).

A tal proposito è da citare l’approccio alla ricerca di Franco Ferrarotti. Le scienze interpretative si basano sull’ermeneutica e sono scienze umanistiche: storia, diritto, filosofia, sociologia. L’importante non è solo la validazione della ricerca in termini matematici e empirici, ma occorre capire se le scienze sono definibili in base al loro oggetto, che nel caso della sociologia è la persona. Il ricercatore non è estraneo, ma è lui stesso un ricercato, ed allora è necessario fare co-ricerca. La persona è dotata di imprevedibilità come momento fondante dell’essere umano: non è causato in maniera deterministica, ma non è neanche del tutto libero, ma condizionato dagli eventi. Le biografie e la vita quotidiana non sono mai cose banali, ma ricche di scoperte. (F. Ferrarotti, 1981)

Il visuale fu uno strumento adottato in chiave metodologica dall’etnologia, dall’etnografia e dall’antropologia culturale. Solo dagli inizi degli anni Ottanta i sociologi visuali si sono riuniti nell’International Visual Sociology Association (IVSA), che pubblica una rivista semestrale, dal titolo “Visual Studies”. A livello definitorio, la sociologia visuale può considerarsi un approccio conoscitivo, che si avvale del metodo osservativo e che si muove nei microsistemi e sub-sistemi sociali, riuscendo a cogliere il mondo nella sua organizzazione naturale, nella sua fluidità, ma anche nel suo essere un mondo di significati. È una branca della sociologia qualitativa che considera importante l’uso di tecniche e metodi di natura iconica nella ricerca sociale (C. Cipolla, P. Faccioli, 1995) e individua il ruolo primario dell’esperienza visuale nel processo conoscitivo, tramite il dato visuale stesso.

Per entrare nello specifico della legittimità del metodo di ricerca, non posso non affidarmi a Max Weber (1922), quando sosteneva che chi studia e osserva è già un essere culturale, dotato della capacità e della volontà di assumere una posizione nei confronti del mondo e di attribuirgli senso, facendo sempre riferimento al proprio bagaglio di conoscenza. Questo non significa che l’analisi delle scienze della cultura possa dare luogo solo a risultati soggettivi, poiché l’oggetto di indagine è determinato dalle idee di valore che dominano il ricercatore e la sua epoca; nel metodo della ricerca il punto di vista è decisivo per la selezione degli strumenti concettuali da impiegare.

Nelle immagini proposte da Conforti, è evidente la prevalenza della cultura contadina, che si esplicita a partire dagli inizi del novecento, con vestiti d’epoca e momenti di vita, e giunge fino alla fine del secolo.

L’anima di un luogo si esprime tramite la sua cultura popolare e cioè di quell’insieme di usanze, tradizioni, storie e stili di vita che appartengono agli abitanti e alle persone comuni (determinati a loro volta dal contesto economico e politico), molto più della cultura considerata “alta”. Alcune dimore attestano la volontà di queste famiglie di elevare il loro status sociale rispetto a quello di altri abitanti del territorio. Dunque, case e casolari ampi che tuttavia denotano come tutt’intorno ci siano tracce di una cultura fondata sulla terra e sulla fatica di dover produrre per il sostentamento della famiglia.

La famiglie sono poi rappresentate in occasione del lavoro nei campi: numerose sono le immagini di attrezzi agricoli (trattori) che servono a definire uno status più elevato. La considerazione da fare è però legata ad un tipo di cultura che è quella del lavoro quotidiano nei campi, con la variante di occasioni festive che vanno immortalate, soprattutto per definire i patriarchi delle famiglie e il loro potere sugli altri.

Nelle foto sono importanti i matrimoni. In particolare colpisce un corteo degli anni cinquanta fatto di diverse autovetture che sfilano per le contrade per recarsi in  chiesa. In altri casi, il corteo è a piedi, con una folla di gente che segue la sposa o gli sposi, dopo il matrimonio.

Una costante è la numerosità di parenti e amici, di invitati che sono presenti in queste circostanze; ma anche le foto che non sono riferite a questo evento in genere riportano un numero consistente di persone che occupano un posto a tavola in occasione di una festa. In altri casi, è la famiglia intera che in posa costituisce l’espressione della memoria.

Una delle foto rende evidente un matrimonio con un rituale specifico:

“la madre dello sposo pone un piatto sulla testa degli sposi; pronuncia alcune frasi auguranti; infine rompe il piatto sul pavimento”.

Se l’oggetto si rompe, sarà un matrimonio felice, in caso contrario gli sposi attraverseranno durante il loro matrimonio alcune difficoltà.

Il rituale era molto diffuso in Sardegna: secondo la testimonianza di Grazia Deledda, la rottura del piatto rappresenta la perdita della verginità della sposa. Infatti, il piatto da rompere non deve essere in qualche modo già scheggiato ma ancora integro (segno di verginità).

Il rituale era da rispettare nei minimi particolari affinché la sfortuna non travolgesse la futura coppia di sposi: secondo la tradizione prima di procedere al rito della rottura, il piatto deve essere pieno di ingredienti che rappresentano fertilità e prosperità; il gesto benaugurale deve coinvolgere tutti i presenti aumentando il senso di appartenenza e sottolineando il clima di festa e gioia collettiva.

Il rito cambia a seconda dei vari luoghi: c’è chi lo fa all’uscita di casa degli sposi, chi dopo la celebrazione religiosa e chi direttamente al ristorante. In genere, rompere un piatto durante un momento gioioso serviva ad ingannare gli spiriti malvagi facendo credere loro che si trattasse di un evento nefasto, così da “allontanarli” dalla festa.

Il lavoro di ricerca storica di Generoso Conforti, con quest’ultimo volume continua a riproporre storie di famiglie che si sono distinte ed hanno dato un importante contribuito alla crescita civile ed economica del territorio. Si tratta di studi capillari, attraverso documenti di particolare interesse, che solo l’abile capacità e perizia di uno storico può proporre per la conoscenza del territorio e a vantaggio delle generazioni future.

 

Note bibliografiche

 

  • R. Barthes, “La camera chiara”, Einaudi, 2003.
  • P. Bourdieu (1965), “La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media”, Guaraldi, 2004.
  • C. Cipolla, P. Faccioli, a cura di, “Introduzione alla sociologia visuale”, Franco Angeli, 1993.
  • R. Cipriani, “L’analisi qualitativa. Teorie metodi e applicazioni”, Armando, 2008.
  • P. Faccioli, a cura di, “In altre parole. Idee per una sociologia della comunicazione visuale”, Franco Angeli, 2001.
  • P. Faccioli, G. Losacco, “Nuovo manuale di sociologia visuale. Dall’analogico al digitale”, Franco Angeli, 2010.
  • F. Ferrarotti, “Dal documento alla testimonianza. La fotografia nelle scienze sociali”, Liguori, 1974.
  • F. Ferrarotti, “Storie e storie di vita”, Laterza, 1981
  • D. Harper, “Visual sociology”, Routledge, 2012.
  • F. Mattioli, “La sociologia visuale. Che cosa è, come si fa”, Bonanno, 2015.
  • N. Mirzoeff, “Introduzione alla cultura visuale”, Meltemi, 2005.
  • M. Weber (1922), “Il metodo delle scienze storico-sociali”, Einaudi, 2003.

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