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I Bulgari nel Basso Cilento

 

L’area della valle del Mingardo è stata interessata, dopo il crollo dell’impero romano, dalla presenza dei Bulgari che hanno popolato il territorio e fatto prosperare alcuni centri, contribuendo all’affermazione della loro cultura e delle loro tradizioni.

Insieme ad essi, i monaci provenienti da oriente si fermarono alle falde del monte Bulgheria e fondarono cenobi e celle, intorno a cui sorsero i primi centri abitati, da qui Celle di Bulgheria. Lo stesso monte, la cui vetta più alta raggiunge i 1225 metri, ha acquisito questa denominazione proprio per la presenza di quella popolazione.

La discesa dei Bulgari nel territorio fu conseguente alla caduta degli ultimi imperatori romani, che diede l’avvio in tutta l’Italia alle invasioni di popoli barbarici: gli Unni, gli Ostrogoti, i Visigoti, i Vandali di Genserico, gli Arabi. Alcune fonti parlano della presenza di Genserico a Policastro nel 440; mentre i Visigoti e i Goti giunsero ancora prima, nel 401.

Nel 553, Narsete fu inviato dall’imperatore d’Oriente per contrastare gli invasori: nel nostro territorio si impossessò di Buxentum, facente parte della Regio III (Lucania e Brutium), e ne cambiò il nome in Policastro. Al suo seguito, alcuni gruppi di Bulgari giunsero nelle vallate del monte Bulgheria e decisero di restare, imparare il latino e non ritornare più nel loro territorio d’origine. Nel VII secolo giunse in Italia con qualche migliaio di uomini il principe bulgaro Khan Alzeco (Alztek), che successivamente si spostò a sud con il consenso di Grimoaldo I, il duca di Benevento, che lo insignì del titolo di gastaldo, come rileva Paolo Diacono.

I bulgari, alleati ai Longobardi, furono in contrasto con i Bizantini che a loro volta erano in lotta con il papato, soprattutto a causa di dispute dottrinali. La conseguenza necessaria fu che i Longobardi fossero protetti dai papi per contenere le mire espansionistiche bizantine (Ebner). Le popolazioni bulgare continuarono a popolare il territorio anche con la dominazione normanna di Roberto il Guiscardo (Antonini).

Il comune di Celle di Bulgheria, gemellato con la Bulgaria, ancora oggi ricorda la presenza di questo popolo (nelle scuole elementari si studia la lingua bulgara): al centro del paese, ma anche in altri borghi della zona, vi è una statua dedicata al principe Khan Alzeco.

 

Per ulteriori e più approfondite notizie sulla venuta dei Bulgari nel territorio del basso Cilento, rimando al successivo saggio di Giuseppe Cataldo. In conclusione, alcuni riscontri bibliografici.

 

La venuta del Bulgari nella valle del Mingardo

di Giuseppe Cataldo

(tratto da: “Il Mezzogiorno Culturale”, A I – n.2, 1987)

 

La storia dei popoli antichi ha avuto nei secoli, specialmente nell’Alto Medio Evo, il suo teatro d’azione e noi siamo felici di meditare i messaggi portati in gran parte da gente straniera, straniera di terra, ma non di cuore.

Dagli Enotri ai Fenici, dai Greci ai Romani, dagli Arabi ai Bizantini, dai Longobardi ai Normanni, tutti hanno contribuito a formare questo ricco patrimonio socio-culturale ereditato dal nostro popolo meridionale, particolarmente del Cilento in Campania.

Fra questi popoli ci furono i Bulgari.

Originari dell’Europa centro-orientale, di stirpe turanico-uralica, provenienti dagli Sciti e dai Tartari, si distinsero in due rami: quello del Volga e quello del Danubio. Essendo di vita nomade, si mescolarono agli Slavi e ai Turchi e, tra il V e il X secolo, si stabilirono nell’attuale nazione Bulgaria. Divisi in circa 30 tribù, secondo Plinio e Claudio Tolomeo, prima praticarono l’agricoltura, la pastorizia e la caccia, poi l’industria e il commercio.

I Bulgari del Danubio ben sei volte, in varie epoche, migrarono in Italia, fra il IV e il IX secolo, al tempo delle invasioni barbariche. La prima volta nel 452, nel Friuli, come alleati degli Unni; la seconda volta, nel 550, al tempo delle guerre gotiche al seguito di Belisario e Narsete; la terza, nel 568, al seguito di Alboino, re dei Longobardi; la quarta, nel 667, coll’arrivo al Alztek nel Ducato di Benevento; la quinta, nell’830, e la sesta, nell’865, in seguito alle lotte iconoclastiche.

Le migrazioni più importanti, come causa prossima della venuta nell’Italia Meridionale e di entità considerevole, furono la seconda (sec. VI) e la quinta (sec. VII), mentre le ultime costituirono lo stanziamento definitivo (sec. IX) nelle nostre terre.

I Bulgari, quantunque nomadi e mercenari, passando da luoghi più vasti e più freddi ad altri meno estesi e più miti, nonostante avessero trovato l’Italia in condizioni deplorevoli per le funeste conseguenze delle invasioni barbariche, della peste del 543 e 566, e della carestia del 570-71, ebbero la felice idea di rimanere nelle nostre regioni per migliorarne le condizioni.

Giunti verso Capo Palinuro, occuparono le falde del Monte Bulgheria (che da loro prese il nome) entrando per la gola della Tragara, unica via d’accesso all’entroterra. I primi, nel VI secolo, erano stati trasferiti da Bisanzio al seguito di Narsete; alla fine del secolo costruirono il Castello di Roccagloriosa, in diocesi di Policastro. Gli altri dei secoli successivi provvidero alla trasformazione socio-economica colla fondazione di nuovi paesi.

I Bulgari furono coinvolti nelle invasioni barbariche, ma erano molto meno barbari. Paolo Diacono, nella sua ‹‹Storia dei Longobardi››, li pose al seguito del re Alboino, il quale ‹‹trascinò seco nell’Italia moltissimi dei vari popoli conquistati da lui o da altri re, così che pur oggi dì chiamiamo le regioni da loro abitate con nomi di Gepidi, Bulgari, Samati, Pannoni, Svevi, Norici ed altrettanti di simile provenienza››. Questa migrazione del 2 aprile 568 fu riconosciuta da altri storici del secolo XVIII, come l’Antonini ed il Foresti.

Nel secolo VII vennero altri Bulgari per tutta la regione. Nel 641, alla fine del regno di Eraclio II, il re Cubrato lasciò cinque figli e raccomandò loro di vivere uniti in pace; ma la gelosia causò la divisione delle persone e dei beni. L’ultimo di essi Altzek, nel 667 uscì dalla Bulgaria e venne in Italia per presentarsi al re Grimoaldo, col fine di mettersi al suo servizio e di stanziarsi colla sua gente nel territorio. Il re, accettatane la proposta, lo indirizzò a Benevento dal proprio figlio Romualdo, il quale, accoltolo benignamente, gli assegnò i vasti territori di Sepino, Boiano ed Isernia nel Sannio.

I seguaci di Altzek, attesi i provvedimenti di soccorsi, data la carente e depressa situazione demografica della zona in quel tempo, furono invitati come coloni a dissodare le terre del Meridione, cioè di Paestum, Palinuro e Policastro Bussentino, in provincia di Salerno. Quest’opera benefica assicurò un notevole impulso all’agricoltura e alla pastorizia, perché alcune zone, come Paestum, erano rimaste solo come riserva di caccia. La colonia bulgara di Benevento si estendeva a tutta l’Italia meridionale. Così Altzek ebbe il titolo di ‹‹gastaldo››, come confermano gli storici Pellegrino, Sacco e Troyli.

L’Antonini parla ancora dei Bulgari del secolo IX, asserendo che ‹‹circa 830 cacciati da’ sovradetti luoghi, per diversi paesi si sparsero; né sappiamo se quelli d’Alczeco, o quelli d’Alboino vennero ad occupare la montagna, di cui ragioniamo, dandole dal loro nome quello di Bulgaria, edificandovi ancora molti paesi ad oriente, ed occidente di essa, siccome si vede da alcune concessioni del 1080 da Roberto Guiscardo fatte; …ed in esse si dice “Utiliter de illorum famulatu in finibus Apuliae, et Salerni usi sumus”; parole che dimostrano, che ancora a quel tempo non eran pochi››. (La Lucania: Disc. VIII, p. 381).

La zona che ci interessa da vicino è la ‹‹Valle del Mingardo››, detta così dall’omonimo fiume che l’attraversa da nord a sud, in 37 km. su un bacino di 221 kmq. Essa termina, nell’estremo Cilento, coll’ampia gola della Valle dell’Inferno, nel mar Tirreno verso la Molpa. Ricca di monti e colline verdeggianti ed olezzanti della macchia mediterranea, comprende i comuni di Roccagloriosa, Celle di Bulgheria, Centola, Camerota, Montano Antilia, Laurito, Alfano e Rofrano, colle rispettive frazioni di Rocchetta, Acquavena, Poderia, S, Severino, S. Nicola, Foria, Palinuro e Licusati.

Quali furono le ragioni della venuta e della fermata dei Bulgari nella Valle del Mingardo? La vita nomade, per cui non era loro difficile vivere lontano dalla patria; il vantaggio di servire re e principi come mercenari; il clima mite e più felice di quello della regione balcanica; la facile convivenza con popoli eterogenei; lo spirito di avventura o di adattamento in tempi e luoghi difficili; l’ambiente adatto come rifugio dalle incursioni dei pirati; la loro combattività e forza nell’intraprendere e portare a termine un’opera iniziata.

Passati per la Tragara, si adattarono in un primo tempo nelle grotte del M. Bulgheria; poi crearono all’aperto i primi nuclei familiari sulle colline e sulle alture o rocche, dando origine ai villaggi di Acquavena, Celle di Bulgheria, S. Severino di Centola e S. Costantino. Di quest’ultimo restano i ruderi di una cappella dedicata al Santo. I Bulgari conoscevano bene l’arte della costruzione, come attestano l’esistenza di mura massicce dei castelli di Roccagloriosa, Centola e Licusati. Sotto Licusati si vede ancora oggi il Castelluccio merlato (Castellum de Mondelmo), prima parrocchia della diocesi di Policastro citata nella Bolla di Alfano I, Arcivescovo di Salerno, nel 1079.

Il centro bulgaro più caratteristico è Celle di Bulgheria. Le ‹‹celle›› alludono all’esistenza di ‹‹grotte›› (cellae, cellarum) del Monte Bulgheria, che furono rifugio ai monaci italo-greci, fondatori di numerosi ‹‹cenobi›› (celle, obedientiae); ma hanno pure indicazioni di natura giuridica, attesa la divisione territoriale dei ‹‹loci›› in ‹‹cellae›› e ‹‹villae››. Queste ultime erano concessioni spettanti per diritto pubblico in quanto erano limitazioni stabilite ed imposte dall’autorità regia all’esercizio normale del proprio potere. Roccagloriosa fu ‹‹Castrum›› (castello per eccellenza) e i villaggi circostanti furono detti ‹‹casali››, cioè ‹‹piccoli nuclei economici, composti da più fondi, di natura e coltura diversa, situati nella medesima località, con le loro pertinenze, con le fabbriche o edifici, necessarie all’azienda rurale, assegnati ad una o più famiglie di coltivatori››.

La lingua uralo-altaica e quella longobarda influirono molto sulla formazione del dialetto locale. L’arte resta ancora oggi nelle forme di vecchi campanili e di altre costruzioni. La religione, cattolica almeno dal secolo IX, rafforzata dalla presenza dei monaci italo-greci, affiora dall’esistenza del culto di santi orientali (S. Sofia, S. Costantino, S. Marina).

I Bulgari, associati ai Longobardi, fecero opera di ricostruzione. Molti perdettero la vita nelle guerre; i rimanenti monopolizzarono il possesso fondiario edificando ville, coltivate da liberi contadini. I distretti territoriali con borghi e castelli erano bene organizzati, da formare una vera e propria ‹‹Bulgaria››. Quelli che prima si erano destreggiati nell’uso delle armi, da buoni gregari dovettero convertire la spada nella zappa e nell’aratro per il benessere loro e dei sopravvissuti. Non mancarono, prima o poi, migrazioni di Slavi.

Nelle generazioni attuali non mancano segni di identità genetica, di chiara marca. Ippocrate di Coo, antico medico greco, ne descrisse le forme ‹‹atticciate e carnose, senza giunture, molli e flosce››, ‹‹le cavità piene di umori e soprattutto quelle del basso ventre››, le carni ‹‹grasse e senza peli››; ‹‹gli uni assomigliavano agli altri, uomini a uomini, donne a donne››.

Coll’incrocio di altri popoli simili, i Bulgari divennero intelligenti come gl’Iranici, tenaci, fantasiosi e mobili, come i Samati, e per il resto quasi identici ai Mongoli. Altri caratteri sono: occhi bruni e mobili, testa rotonda, barba rada, faccia e pelle color giallo terreo. Talvolta rassomigliano ai negri, bruni e con labbra grosse.

Concludendo, possiamo dire che i Bulgari, frammisti per secolare discendenza ai popoli italici, latini, greci, saraceni e germanici, hanno dato al nostro popolo le armi, la lingua, l’altare, e persino il nome operandone la vera redenzione. Le loro generazioni, per provvidenziale disegno, hanno onorato la santità della Chiesa e la grandezza d’Italia grazie all’opera di uomini forti e tenaci.

 

Per una storia del territorio del basso Cilento, di seguito alcuni riferimenti bibliografici.

 

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