Il Carnevale è legato a rituali che si tramandano da tempi remoti e trovano particolare riscontro nella tradizione antica delle maschere, finti volti, oggetti artificiali posti sul viso in particolari circostanze. Ciò accadeva, almeno in passato, quando il ciclo stagionale della natura permetteva agli uomini di dedicarsi a rituali e cerimonie, quali: matrimoni, riti funebri ed eventi festivi, per affermare le relazioni comunitarie.
L’etimologia incerta del termine “maschera” potrebbe essere ricondotta alla radice “masca”, traducibile, in maniera non troppo letterale, con “fantasma”. Un’altra ipotesi è quella che lo farebbe derivare dal latino medievale “masca”, usato come sinonimo di “strega”, di cui si trovano alcuni riscontri nella lingua piemontese. (1)
In genere, si è indotti a credere che la maschera serva per non essere riconosciuti, per rappresentare differenti apparenze, per cui evoca proprio il travestimento, che evidenzia tutto ciò che è nascosto (chi sta dietro la maschera) e ciò che è mostrato (la maschera stessa). Quello che è celato è “l’immagine dell’individualità e dell’identità personale dell’essere umano”, mentre ciò che è mostrato è un volto inusuale che “può rivelare quello che è distinto e separabile dall’essenza fisica dell’uomo”. Infine, la maschera rappresenta un essere soprannaturale che vuole solennizzare una ritualità per esprimere i valori e le credenze per la comunità, segnando i momenti critici, i riti di passaggio, le trasformazioni. (2)
In questo scritto, mi riferisco all’aspetto rituale, partendo dall’assunto che la maschera rappresenta l’essenza divina o demoniaca: è spiegata così la sua collocazione sulla testa, la parte più importante dell’uomo in cui si concentra il potere di ogni essere. Il riferimento è al mondo delle origini che possedeva un diverso rapporto con la natura, combinando le caratteristiche umane e animali. Ecco perché in tante tribù antiche le maschere assumono la commistione di forme umane e di animali, costituendo l’incarnazione della potenza e presenza degli antenati, che non abbandonano mai la comunità. È anche l’abolizione della dimensione temporale con la riattualizzazione dei momenti primordiali, rievocati attraverso i miti e la ritualità.
Numerose ricerche etnoantropologiche hanno distinto le differenti funzioni della maschera: in linea generale, essa è intesa come strumento con cui captare la forza soprannaturale degli spiriti e, appropriandosene, si produce un beneficio per la comunità. In tal senso, deve somigliare allo spirito su cui si decide di agire, nascondendo proprio colui che la indossa. (3)
Le maschere assumono alcuni significati simbolici.
- Culto. Nell’antichità esse si rappresentavano le facce delle divinità, oltre che il busto e il corpo: i significati delle maschere non servivano solo per decorare le tombe (maschere funebri) ma erano considerati importanti oggetti di culto. E ci si riferisce a Egitto, Asia, ma anche alle civiltà quali Inca o Aztechi, che in occasione di sventure ed epidemie apponevano agli idoli maschere di pietra per farne risaltare meglio il potere. La maschera sarebbe dunque il mezzo espressivo e non il nascondimento, come accadeva, ad esempio, tra Egizi e Micenei che rilevavano non camuffamenti di una personalità, ma i ritratti e le espressioni. In alcuni contesti, particolari bambole erano poste accanto al malato per esorcizzarlo e trasferire ad esse lo spirito maligno. Esistevano poi le maschere utilizzate per le sepolture, situate sul volto del morto per mantenerlo in comunicazione con i vivi.
- Iniziazione. Nei culti misterici, la maschera costituì uno dei più importanti simboli della “morte iniziatica” e, di conseguenza, del passaggio ad un nuovo stadio di consapevolezza spirituale. In molti Paesi africani e in Melanesia, i membri si presentano con il viso coperto per indicare “l’espressione e il tramite di una trasformazione che ha luogo nell’individuo”, al fine di realizzare un essere umano completo e conforme ai dettami comunitari. L’iniziato deve avere la capacità di uscire e rientrare, entrando a contatto con una sfera misteriosa e terrificante. La maschera rappresenta proprio la fase liminale, di confine, “in cui ambiti diversi si avvicinano e si sovrappongono”. È il processo di trasformazione delineato da Victor Turner, la fase di transizione per ricombinare gli aspetti della realtà. (4)
- Travestimento. Esso è associato alla perdita dell’identità per abbandonare la componente individuale e, attraverso manifestazioni rituali, recuperare la dimensione comunitaria. Il travestimento tramite maschera a volte è utilizzato per compiere azioni che altrimenti non sarebbero consentite: ad esempio, nelle società segrete gli aderenti operano proprio celando la loro identità. In seguito, il travestimento fu praticato nelle occasioni festive e durante il periodo di Carnevale.
- Protezione magica. Le pratiche legate all’utilizzo di idoli, immagini e maschere significano anche protezione comunitaria. Esistono delle maschere con funzioni magiche, ma anche per spaventare il nemico. Sovente vengono accostate alla tecnica della pittura del volto o del corpo con evidente funzione protettiva. In altri casi, si utilizzano fantocci a protezione delle proprietà per colpire il nemico (gli spauracchi).
- Rappresentazione teatrale. Le maschere teatrali servono alla messa in scena di commedie e farse, che si sviluppano a partire dall’antica Grecia e si diffondono nei secoli successivi. In questo caso, la copertura del volto conferisce senso alla rappresentazione e marca il confine tra attore e personaggio interpretato: si dice di indossare una maschera quando ci si intende calare in un personaggio.
L’utilizzo della “maschera” è già presente nella preistoria, come elemento per consentire al mondo terreno di comunicare con quello “degli spiriti”. Nell’antico Egitto e in Grecia, si diffuse a scopi funerari, anche se nel contesto ellenico la maschera fu usata anche come strumento figurativo, durante le rappresentazioni teatrali; nella Roma imperiale, al contrario, fu introdotta la maschera in accezione gioiosa e burlesca. Nel medioevo si realizzarono le mascherate, che davano origine a scandali per la libertà concessa ai travestimenti, ed allora si proibì di coprirsi se non in determinate occasioni, come il Carnevale, soprattutto nella città di Venezia. Le maschere da principio avevano la forma di un volto, erano di cera e si legavano dietro la testa, poi furono di cartone dipinto, infine vennero sostituite da mascherette di seta e di velluto nero. Esse divennero anche accessori del vestiario nel Rinascimento, anche se riservate soprattutto ai nobili. Nel settecento veneziano, vecchi e giovani, patrizi e plebei portarono le maschere. Durante il corso dell’ottocento il suo uso fu consentito durante il Carnevale. (5)
Le maschere sono utilizzate nel territorio cilentano solo a Carnevale e, attraverso l’azione del travestimento, celano l’identità e rappresentano l’elemento trasgressivo, l’inversione dei ruoli (servo/padrone), fungendo da fattore protettivo per esorcizzare il male.
Nelle ricerche effettuate, ho rilevato alcuni riti particolarmente suggestivi che si svolgono in questo territorio.
La sera della vigilia di Carnevale, i màschari (maschere) bussavano alle porte delle abitazioni chiedendo vino e salsiccia: il dovere di ospitalità e la tradizione imponevano l’ingresso e l’offerta di cibo. La maschera rimanda poi alle rappresentazioni teatrali che vengono organizzate: il chiavone, di cui ancora si trovano tracce nella cultura popolare, è l’antico rito della filastrocca per mettere alla berlina chi occupava posizioni sociali importanti. Un rituale molto diffuso è soprattutto quello di bruciare il fantoccio, ovvero abbandonare le cose vecchie e ristabilire l’ordine nuovo. È il rito del “Carnevalone”, un pupazzo trascinato nelle strade del borgo e incendiato nella pubblica piazza. In un’altra versione, il martedì grasso si prepara il Cannuluvàro (Carnevale), che viene disteso in una bara e portato in spalla da quattro maschere vestite di nero. Alla fine della sfilata è compiuto l’atto di bruciare il pupazzo, per esorcizzare con il fuoco ogni influenza malefica e rinnovare la forza vitale della natura che si rigenera. La rinascita del seme, infatti, è il modo di allontanare la precarietà e il passato pieno di stenti e disagi. (6)
La rappresentazione rituale del Carnevale significa non solo la continuità con il mondo pagano, ma anche l’evocazione e l’esorcismo delle forze diaboliche che si scatenano e producono disordine e peccato, sul modello dionisiaco. Nella civiltà greca, è Dionisio il dio della rappresentazione drammatica della commedia e della tragedia, raffigurato su rilievi, vasi ed oggetti. Il dio, intorno alla cui immagine-maschera si riuniscono gli uomini, provoca ebbrezza, estasi e follia, un comportamento che può portare alla furia distruttrice. Il suo culto dunque abbatte le barriere che separano il mondo degli uomini, dagli dei e dagli animali, ed il tutto è ricondotto entro la figura della maschera. (7)
Oggi, che ormai tante forme rituali sono state abbandonate e vengono praticate solo attraverso rappresentazioni sceniche teatrali, l’espressione “indossare una maschera” è diventata, più o meno, la metafora per discernere i più svariati comportamenti che si assumono durante la nostra esistenza. In questa accezione, la maschera non cela più nulla, ma serve a mostrare soltanto qualche lato della propria personalità, limitata però al periodo di Carnevale.
Note:
- AA.VV., “Vocabolario Treccani”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, edizione online https://www.treccani.it/vocabolario/maschera/; Definizione e significato di maschera, in: www.garzantilinguistica.it; www.lacomunicazione.it.
- E. Comba, “Maschera”, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, vol. V, 1996, 546-547.
- “Maschera”, Enciclopedia Italiana Treccani. Vol. XXII, 1949, 481-483.
- E. Comba, 548.
- “Maschera”, Treccani, cit., 484-485.
- E. La Greca, A. La Greca, A. Di Rienzo, “Usi e costumi del Cilento”, CI.RI. Cilento Ricerche, pp.62-64; P. Martucci, A. Di Rienzo, 1999, “Il sacro e il profano”, Edizioni Studi e Ricerche, p.74. Cfr. anche, “Riti e tradizioni. Carnevale”, in http://ricocrea.it/2020/02/19/
- E. Comba, “Maschera”, cit., 550.
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