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La ricerca del metodo

di Pasquale Martucci

 

Il 14 giugno 1920, cento anni fa, moriva a Monaco di Baviera (era nato ad Erfurt il 21 aprile 1864) Max Weber, considerato un personaggio centrale nella storia della sociologia e della cultura occidentale, per aver influenzato molte correnti di pensiero, dallo struttural-funzionalismo, alla teoria critica, all’interazionismo simbolico, all’etnometodologia.

Il suo capolavoro fu “L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo” del 1905 (1), in cui trovano completa applicazione i suoi presupposti metodologici. Nell’opera il capitalismo è inteso come un fenomeno storico specifico che si sviluppa pienamente solo nell’Occidente moderno e non va confuso con la semplice sete di guadagno. E’, invece, una ricerca del profitto compiuta con metodi razionali e si serve di un’organizzazione innovativa del lavoro, di possibilità tecniche e di nuove conoscenze scientifiche. I presupposti culturali (lo spirito) del capitalismo affondano le proprie radici nell’etica protestante (calvinista soprattutto), che ha rivoluzionato la mentalità tradizionale attraverso: il concetto di predestinazione; la concezione del lavoro interpretato come conferma della grazia divina; il lavoro inteso come vocazione; la condanna dell’ozio, del lusso, della povertà e di qualunque forma di parassitismo. Il sociologo tuttavia è convinto che il capitalismo, anche senza la tensione religiosa, possa continuare a mantenere la centralità assegnata all’accumulo di ricchezza. Ed allora, la conclusione è che la religione non è determinante nelle attività economiche, anzi le inibisce contribuendo a trasformarle.

L’argomento di questo scritto intende soffermarsi sull’elaborazione teorica di Weber rispetto alle specificità, all’autonomia e al valore delle scienze storico-sociali. (2) E ciò perché la sociologia parte proprio dalle società storiche per conoscerle e porre interrogativi, cioè trarre da esse ispirazione ma poi mantenere una certa distanza per sviluppare teorie generali. E proprio questo fu l’intento di Max Weber, che voleva formulare concetti tipici per uniformare i processi empirici, partendo da una visione soggettiva dell’azione sociale, conforme ai criteri interiori dei soggetti agenti anche se in relazione con gli altri, perché nella società le azioni dell’uno orientano l’azione dell’altro e lo fanno reciprocamente.

In Economia e società, afferma: “L’azione è sociale nella misura in cui, in forza del significato che l’individuo, o gli individui le attribuiscono, essa tiene conto del comportamento degli altri e ne è a sua volta influenzata”. (3)

Si occupò dunque di studiare concetti utilizzati come “oggetti euristici”, anche se con l’avvertenza che la storia non può essere ridotta ad un semplice sistema di leggi, perché essa non mostra cicli conclusi, né un progresso lineare. Per Weber la storia, o meglio la sociologia storica, riguardava sia l’individualità che le generalità, e per unificare proprio individuo e società occorreva elaborare principi generali, che chiamò “tipi ideali”. Si trattava di costruzioni mentali, generalizzazioni e astrazioni dalla realtà che sono di aiuto proprio nella definizione dei casi e delle situazioni concrete. L’assunto era che non esiste una sola causa ma vari fattori che determinano un dato evento, per cui occorreva trovare concetti utili per la ricerca del mondo reale. E la sociologia aveva proprio il compito di costruire questi concetti, che poi la storia avrebbe utilizzato per analizzare fenomeni specifici.

Per Weber la prima cosa da fare era la comprensione dei fenomeni sociali (verstehen), che derivava dall’ermeneutica: comprendere il pensiero dell’autore e la struttura del testo ed estenderlo alla vita sociale, cioè cogliere il significato dietro l’evento osservato. Qui c’è la differenza tra fenomeni naturali (spiegati tramite proposizioni confermate dall’esperienza) e comportamenti umani (presentano una “intelligibilità” intrinseca per il fatto di essere dotati di coscienza). L’idea è mutuata dalla psicopatologia di Jaspers e dalla distinzione tra spiegazione e comprensione, anche se la comprensione sociologica è differente da quella psicologica. Questo poteva essere fatto attraverso una ricerca sistematica e rigorosa, con uno studio razionale. Poi era necessario lo studio della causalità, la probabilità che un evento fosse seguito ed accompagnato da un altro evento, prestando attenzione ad intrecci tra economia, società, politica, organizzazione, religione. L’azione, la condotta umana, è interpretabile in rapporto alle “valutazioni” e ai “significati”. Ciò che si deve fare (causalità adeguata) è avanzare affermazioni probabilistiche riguardo al rapporto tra fenomeni sociali: valutare il grado per cui un certo effetto è favorito da determinate condizioni.

Si è accennato ai “tipi ideali”, che tanta parte avranno in seguito nella costruzione delle ricerche in ambito sociologico, intesi come strumento concettuale. Ebbene, dice Weber, si tratta di concetti costruiti da uno scienziato sociale sulla base dei propri interessi e del proprio orientamento teorico, al fine di cogliere le caratteristiche essenziali di qualche fenomeno sociale.

Ne: Il metodo delle scienze storico-sociali, afferma: “La loro funzione è di permettere il confronto tra realtà empiriche al fine di stabilire divergenze o analogie per descriverle con i concetti più precisi e intellegibili e per comprenderli e spiegarli in termini causali”. (4)

La classificazione è dei vari tipi d’azione: “razionale in rapporto a un fine”; “razionale in rapporto a un valore”; “azione affettiva o emotiva”; “azione tradizionale”. Si trattava dell’interpretazione weberiana dell’epoca in cui viveva, quello della razionalizzazione.

Per fare l’esempio della “burocrazia ideal-tipica”, si possono notare le differenze tra caso reale ed esagerazioni del tipo ideale, individuabili nell’azione burocratica, nelle sue cause e deviazioni: disinformazione, errori strategici, sbagli logici, decisioni emozionali, azioni irrazionali. Dunque, costruito un tipo ideale viene da sé ragionare sulle differenze rispetto a quella che sarebbe la condizione ottimale. Per cui questi costrutti logici devono essere realizzati dai ricercatori immergendosi nella realtà storica e ricavandone gli elementi per la sintesi. Non si tratta di immagini speculari del mondo reale, ma di esagerazioni unilaterali dell’assenza di ciò che accade nel mondo reale, perché la situazione ideale difficilmente si trova nel mondo reale. I tipi ideali sono dinamici perché dinamica ed in continuo cambiamento è la società: sono edifici su cui installare una serie di modelli, utilizzati per analizzare processi storici. Ed allora ci sono: “tipi ideali storici”, “tipi ideali sociologici generali”, “tipi ideali di azione”, “tipi ideali di struttura”. E così nei vari ambiti: economia (interessi materiali), cultura (interessi ideali), politica (situazioni di dominio).

Si è detto che ciò che distingue le scienze storico-sociali dalle scienze naturali è il suo oggetto, che si osserva isolando un oggetto specifico dagli altri. Per questo motivo, secondo Weber, la conoscenza è sempre dominata dall’unilateralità: si sviluppa sulla base di alcuni valori o punti di vista e non può mai avere la pretesa di comprendere la totalità della realtà storico-sociale, perché i campi di ricerca sono circoscritti sulla base di una scelta soggettiva. Ed allora, pur muovendo da presupposti “soggettivi”, il problema è se esistono le condizioni che fanno sì che i risultati di tali scienze possano ritenersi “oggettivamente validi”. Oltre alla comprensione di cui si è trattato, la condizione che potrebbe permettere l’oggettività della ricerca è “il criterio dell’avalutatività”: i fenomeni devono essere descritti e non valutati. E’ l’esplicitazione del principio di neutralità.

Weber sostiene l’importanza di esprimere fatti e non opinioni, non valori personali: ciò si deve estendere anche alla ricerca, che deve seguire procedure ordinarie, osservazione rigorosa, comparazione sistematica. Selezionare una parte di realtà che incarna valori importanti per gli esseri umani, studiare la realtà sulla base di valori condivisi che poi sono quelli di interesse per l’europeo moderno. Approfondendo oltre, il sociologo giungeva a sostenere che fatti e valori difficilmente potessero essere scissi, ma che fosse importante rendere consapevoli se stessi e il pubblico dei valori cui si fa riferimento.

Ad ogni modo, nelle sue ricerche più volte non fu immune dall’esprimere giudizi di valore. La conclusione è che le scienze sociali sono le ultime che possono arrogarsi il diritto di dire quali scelte fare, ovvero il ricercatore non può dire alle persone cosa fare. E’ il principio della non scelta, ma è soprattutto il principio del distacco dal proprio interesse per trovare risposte universalmente valide alle domande che il ricercatore si pone. Weber parla allora di etica della responsabilità (azioni come mezzi-fini), ma anche di etica della convinzione (agire secondo i propri personali sentimenti, secondo coscienza).

Sull’esempio weberiano e attraverso un approccio qualitativo, da anni svolgo lavoro di ricerca socio-antropologica, avendo presente proprio la realizzazione di un processo conoscitivo, che veda lo sviluppo di forme interattive sempre più collocate a livello problematico. Come sosteneva Ferrarotti, il ricercatore è dentro la ricerca, ma è anche “un ricercato”, per cui la ricerca non è più una comunicazione ad una sola via (l’agente e chi subisce l’azione) ma è un “dialogo” che tende a cogliere il punto di vista altrui” e mettere in discussione le proprie credenze e conoscenze per consentire al ricercatore di acquisire e comprendere “i significati attribuiti da altri alle cose”. Nel lavoro è necessario porre la dovuta attenzione alla verifica dei dati rilevati, al rapporto tra testo e contesto, legando soggettività e oggettività per attenuare le distanze e realizzare il principio di responsabilità di coscienza.

Collocando entro un processo storico le teorie riguardanti la conoscenza, la fede, la scienza, il diritto, l’economia, ma anche più concretamente l’azione, la razionalizzazione, l’organizzazione burocratica, Max Weber è riuscito ad esercitare una profonda influenza sullo sviluppo del pensiero sociologico e non solo. Ed ha offerto utili strumenti metodologici a tanti studiosi che ancora oggi svolgono importanti ricerche sui fenomeni sociali.

 

Note

  1. In Italia l’UTET ha pubblicato nel 1977: “Sociologia delle religioni”, che contine l’Etica protestante e lo spirito del capitalismo e la Sociologia delle religioni. Cfr.: anche: Etica protestante e lo spirito del capitalismo, Leonardo 1945; Sansoni 1965.
  2. Altre opere degne di menzione di Max Weber, tradotte in italiano, sono: “Il metodo delle scienze storico-sociali”, Einaudi 1958, 1966, 1989; “Il lavoro intellettuale come professione”, Einaudi 1948, 1966; “Economia e società”, Comunità 1961, 1968, 1980; “Scritti politici”, Giannotta 1970. Poi ci sono scritti e lezioni su argomenti politici ed economici, una vasta letteratura critica, molte interpretazioni ed esposizioni della sociologia weberiana. Sul Metodo, l’edizione Einaudi del 1958 propose quattro significativi saggi epistemologici: L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale (1904); Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura (1906); Alcune categorie della sociologia comprendente (1913); Il significato della “avalutatività” delle scienze sociologiche e economiche (1917-1918).
  3. M. Weber, “Economia e Società” vol. I, Comunità 1980, 4.
  4. M. Weber, “Il metodo delle scienze storico-sociali”, Einaudi 1989, 43.

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