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Complessità e coronavirus

La lezione di Miguel Benasayag

di Pasquale Martucci

 

Non mi ero ancora occupato di coronavirus per una ragione precisa: cercavo di evitare di utilizzare spazi già invasi da una miriade di notizie che si rincorrono quotidianamente, a volte senza alcuna logica e magari spesso fuorvianti. Ma ora che l’epidemia si è estesa rapidamente, con interventi drastici da parte del potere istituzionale per limitare comportamenti non sempre corretti ma dettati da stili di vita acquisiti, dietro varie sollecitazioni, in particolare quella dell’amica Stefania Betti sul filosofo e psicoanalista Miguel Benasayag, intendo compiere alcune riflessioni sul come, attraverso la complessità, si possano acquisire e affrontare le situazioni di incertezza.

La socialità si sviluppa quando l’uomo, individuo sociale, cerca l’altro ed entra in relazione, vivendo spazi condivisi e quotidiane frequentazioni. Ebbene adesso occorre modificare in breve tempo le proprie abitudini, perché emerge la forza delle istituzioni e dunque la maggiore presenza della società sulle scelte individuali, contrariamente a ciò che si stava affermando nelle forme moderne di vita: fare ciò che si vuole e considerare coercitive le limitazioni che l’organizzazione sociale impone.

Sono queste le considerazioni propedeutiche per parlare di un aspetto importante: la tecnologia. Benasayag parla della differenza tra funzionalità ed esistenza, in cui l’uomo pensa di poter essere invincibile grazie agli sviluppi tecnologici, dove i mezzi diventano fini. Ed in questi particolari momenti, al contrario, proprio i mezzi sarebbero essenziali per consentire di evitare il contagio, magari lavorando da casa, come afferma da anni il sociologo Domenico De Masi. Un secondo elemento, che collego al primo, è il ruolo della natura, dal momento che si è creduto che l’uomo l’avesse soggiogata e controllata, accorgendosi che non è proprio così. Il virus evidenzia come ci siano eventi naturali particolarmente virulenti che modificano le convinzioni del dominio sulla natura grazie alla tecnologia. E anche su ciò Benasayag può offrire qualche interessante spunto.

Credo che sia opportuno riferirsi preliminarmente alla “teoria della complessità” di Edgar Morin (in modo compiuto tratterò in un altro scritto il suo pensiero), per aver spaziato tra i vari ambiti del sapere, puntando sul rapporto soggetto-oggetto, osservante-osservato, sistemi e feedback, pensiero non riduttivo, per permettere di districarsi nelle diversificate e non certamente semplici istanze sociali. E’ la complessità, da conoscere e comprendere attraverso un metodo che “contenga in sé il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa”. E il metodo sarà proprio il lavoro che Morin comincerà ad elaborare negli ultimi decenni del novecento. (1)

Partendo proprio dalla complessità, Miguel Benasayag di recente (2) si è espresso proprio sui limiti e la crisi sociale al tempo del coronavirus, considerando la “condizione dell’uomo”, con l’indicazione di non agire in modo meccanico, seguendo un ruolo assegnato, ma di assumere la situazione che si presenta e prendere coscienza.

La fama dello studioso argentino, residente in Francia, si è affermata in Italia in conseguenza dei suoi lavori sull’“elogio del conflitto”, necessario per una ridefinizione dello spazio comune (“se le persone non trovano quello che desiderano si accontentano di ciò che viene loro imposto”) e sulle “passioni tristi”, in cui afferma che le patologie diffuse sono causate essenzialmente dal malessere sociale; ed allora occorre riscoprire il piacere delle cose inutili, dei gesti disinteressati, della passione per il proprio talento.

I temi centrali del suo pensiero, contenuti in alcuni volumi pubblicati in Italia (3), possono essere così sintetizzati: a) comprendere e agire nella complessità; b) funzionare o esistere; b) elogio del conflitto; c) epoca delle passioni tristi; d) salute ad ogni costo e negazione della morte.

Riferendosi a “Delitto e Castigo” di Dostoevskij, Benasayag ha sostenuto che nelle attuali e moderne società i governi e le finanze stanno compiendo delitti immani ed ora aspettano il castigo. Quello che stiamo vivendo è una variabile non conoscibile: tutto è riconducibile alla complessità che non è altro che incertezza. Per agire occorre accettare la dinamica senza avere un sapere completo. E questo è il caso del coronavirus. Fa l’esempio del tiranno, affermando che l’epidemia in sé è il sogno del tiranno, l’opposizione alla realtà, perché tutto si gioca nell’immediatezza. Al di là dell’immediato non c’è niente, mentre occorre vedere, avere lo sguardo sulle cose. (4)

Ha svolto interessanti studi sul “biopotere”, che devitalizza e non consente di agire. La parola d’ordine della nostra società è “salute ad ogni costo”, che guida comportamenti e modi di sentire. Si vive nell’angoscia e in una situazione di pericolo imminente, ed allora si ricorre a specialisti di ogni genere, perché si avverte un senso di prigione che impedisce di reagire. In questa condizione si delegano le funzioni alle macchine, che al contrario andrebbero rese compatibili con la struttura e i ritmi della vita e della cultura. La modernizzazione ha fatto scomparire la regolazione dell’ecosistema: è il “biopotere” che controlla i processi e mortifica la stessa libertà. Oggi i virus viaggiano in aereo e la mappa ha preso il posto del territorio: se tutto è informazione, le funzioni non stanno nella realtà perché quando si pensa di poterle raggiungere si trovano in uno stadio successivo. E’ la tirannia degli algoritmi. Gli uomini e le donne sono tristi, hanno bisogno del tiranno per giustificare la depressione e il tiranno ha bisogno dei depressi per esercitare il suo potere. (5)

Miguel Benasayag ricorda che il vero pericolo, in un’epoca come questa, è rappresentato dal niente, “un niente circondato dalle belle parole e dai grandi discorsi”. Si esprime contro la mortificazione che orienta l’individuo contemporaneo, affermando che si vive ormai in una società “schiacciata dal peso e dai limiti dell’utile”, in quanto tutto è improntato su “standard di mera efficienza e funzionalità”. (6)

Il problema di questa visione utilitaristica, ormai dominante, è che rende assoluta un’unica realtà possibile, una sola dimensione della vita. Per resistere a questa logica bisogna sviluppare e valorizzare altre dimensioni molteplici della vita sociale e personale, considerando che si vive in un mondo molto più complicato rispetto al passato. Il suo riferimento è alla assoluta assenza di sacrificio, in una società che si vuole “integralmente razionalista”. Il sistema del sacrificio, però, non può essere superato semplicemente ignorandolo: la sua indicazione è di tornare al concetto di dono, così come proposto da Marcel Mauss: “una forma pratica per orientare le nostre scelte, per dirigerci verso una esistenza più giusta e felice, per impedire che all’altro si possa paradossalmente donare solo la morte, e non la vita”. (7)

E’ importante, sostiene Benasayag, che l’esistenza prevalga sulla funzionalità: “il tutto si ridefinisce ogni volta nella, attraverso e per la situazione in cui e attraverso cui le persone esistono”. Siamo più funzionali che esistenti. Nella realtà c’è bisogno del coraggio: senza coraggio non si vive la vita personale, occorre assumere le fragilità della vita, senza isolamento, avere il coraggio di vivere in relazione agli altri. E il coraggio implica la solidarietà. Oggi c’è l’impensabile, la fragilità, il non sapere ed è importante resistere e creare: è necessario accettare la fragilità ed entrare in amicizia con la vita, interrogandoci su cosa fa l’uomo all’interno della storia, perché si tratta della complessità in un’epoca oscura. (8)

Il pensiero complesso è importante perché la realtà è cangiante e presenta sempre novità. Nella storia dell’umanità, l’uomo quando scopre la ragione sembra affidare la “propria facoltà conoscitiva” al solo intelletto, trascurando tutto il resto. Morin contrappone a ciò “l’uomo intero”, nel quale il processo di conoscenza “è il risultato della collaborazione e della interazione tra razionale e immaginario, tra emozione e riflessione, tra homo sapiens e homo demens”. (9) In tal modo, si realizza il soggetto conoscente, “figlio del suo divenire”, radicato nel suo processo storico e nella natura di cui è parte integrante. E’ la complessità che prevede: “il tutto è più delle parti che lo compongono, perché le parti che lo compongono, interagendo tra di loro, producono appunto qualcosa di nuovo e imprevedibile, che è, solo e soltanto, il risultato delle interazioni stesse”. (10)

La conclusione è dunque affidata al pensiero complesso e globale, dove non può esserci semplificazione: è l’unità che produce le sue emergenze, dove si perdono distinzioni e chiarezze, dove i disordini e le incertezze perturbano i fenomeni, dove il soggetto-osservatore si rispecchia nell’oggetto della sua osservazione.

E’ anche questo un modo per rapportarsi all’incertezza del coronavirus.

 

Note:

  1. E. Morin, “7 lezioni sul pensiero globale”, Cortina 2016. Sul metodo di Edgar Morin, il riferimento è alle edizioni italiane di Raffaello Cortina tra il 2001 e il 2008: “Il metodo: I. La natura della natura”, Cortina 2001 (su fisica e chimica); “Il metodo: II. La vita della vita”, Cortina 2004 (su biologia ed ecologia); “Il metodo: III. La conoscenza della conoscenza”, Cortina 2007 (sull’antropologia della conoscenza); “Il metodo: IV. Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi”, Cortina 2008 (sull’ecologia della conoscenza); “Il metodo: V. L’identità umana”, Cortina 2002 (sull’antropo-sociologia); “Il metodo: VI. Etica”, Cortina 2005 (sull’etica).
  2. M. Benasayag, “La complessità ai tempi del coronavirus”, intervento pubblicato su youtube il 6 marzo 2020.
  3. Cito alcuni volumi di Miguel Benasayag: “L’epoca delle passioni tristi”, scritto con Gérard Schmit, Feltrinelli 2007; “Elogio del conflitto”, Feltrinelli 2008; “La salute ad ogni costo. Medicina e biopotere”, Vita e pensiero 2010; “C’è una vita prima della morte?”, scritto con Riccardo Mazzeo, Centro Studi Erickson 2015; “Oltre le passioni tristi: Dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa”, Feltrinelli 2016; “Funzionare o esistere?”, Vita e Pensiero 2019.
  4. Il riferimento è al volume: M. Benasayag, “Contro il niente. L’ABC dell’impegno, Feltrinelli 2005.
  5. M. Benasayag, “La salute ad ogni costo. Medicina e biopotere”, cit.
  6. Cfr.: M. Benasayag, “L’epoca delle passioni tristi”, cit.;M. Benasayag, “Contro il niente”, cit.
  7. M. Benasayag, “Contro il niente”, cit.
  8. M. Benasayag, “Funzionare o esistere?”, cit. Molti concetti sono esplicitati nell’intervento: M. Benasayag, “La complessità ai tempi del coronavirus”, cit.
  9. G. Gembillo, “Laudatio”, in E. Morin, G. Cotroneo, G. Gembillo, “Un viandante della complessità. Morin filosofo a Messina”, a cura di A. Anselmo, Armando Siciliano 2003.
  10. H. von Foerster, “Sistemi che osservano”, Astrolabio 1987. Sulla teoria dei sistemi, cfr.: L. von Bertalanffy, “Teoria generale dei sistemi”, ISEDI 1971, 1968; G. Bateson, “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, 1972, 1976;  G. Bateson, “Mente e natura”, Adelphi, 2008, 1979; P. Watzlawick, I.H. Beavin, D.D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio 1997, 1971.

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