Trent’anni fa veniva abbattuto il Muro di Berlino, anche se ancora oggi sono tanti i muri simbolici e fisici che limitano gli orizzonti di vita e fanno sviluppare odio e violenza.
Il 9 novembre 2019, presso il palazzo presidenziale della capitale tedesca Berlino, sono giunti i presidenti di quello che un tempo fu il blocco comunista: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia per celebrare, con giustificato entusiasmo e discorsi commemorativi, il trentennale del crollo del celebre Muro. Questa ricorrenza ha visto affluire nella capitale decine di migliaia di persone, per ricordare una notte storica, il 9 novembre del 1989, quando si realizzò la fine della divisione dei due blocchi, la riunificazione di una nazione che da tempo avvertiva l’esigenza di abbandonare quella disumana ed ingiusta barriera. Già quella tendenza si era manifestata, attraverso continue fughe, ricongiungimenti, tentativi di oltrepassare un limite violato a rischio della vita.
Quella notte cominciò poco prima delle diciannove, con la conferenza stampa del portavoce del governo della DDR, che dava l’annuncio della possibilità di oltrepassare il Muro di Berlino senza controlli. Furono migliaia i berlinesi che si diressero verso i posti di frontiera fra le due parti della città: le guardie e gli agenti di polizia per la prima volta furono esonerati dall’ordine di sparare. Per tutta la notte ci fu festa: i tedeschi si abbracciarono nel segno della libertà, incontrando molti parenti ed amici che non vedevano da decenni.
Le immagini però più impresse nelle menti furono da un lato i ragazzi che si arrampicano sul Muro tirandosi su a vicenda; dall’altro il piccone e i martelli che abbattevano la barriera. In tre giorni, due milioni di persone passarono il confine e segnarono la fine di un mondo diviso.
Il muro in genere si presenta in accezione difensiva, per isolarsi e proteggersi. Ma esso è anche separazione, ed in quanto tale simbolo di durezza e insensibilità, indifferenza e incomprensione. In questa accezione, il Muro di Berlino, in quanto divisivo, è inteso come “muro della vergogna”, simbolo di esasperata ostilità.
Il Muro, che circondava Berlino Ovest, ha separato in due la città per ventotto anni, dal 13 agosto del 1961 fino al 9 novembre 1989. Nel 1945, prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, la “Conferenza di Jalta” decise la divisione di Berlino in quattro settori controllati e amministrati da Unione Sovietica, Stati Uniti d’America, Regno Unito e Francia. Nel 1949, i tre settori controllati da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna divennero la parte occidentale della Germania. I cittadini potevano inizialmente circolare indisturbati grazie ad accordi ed iniziative diplomatiche, nonostante nel 1952 venne chiuso il confine tra Germania Est ed Ovest. Tra il 1949 e il 1961, oltre due milioni e mezzo di tedeschi dell’Est passarono dall’altra parte. Per fermare l’esodo delle persone, il regime comunista iniziò la costruzione di un muro attorno ai tre settori occidentali, nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, che circondò completamente Berlino Ovest. Fu subito chiaro che si voleva impedire la fuga in massa di professionisti e lavoratori specializzati. Nel giugno 1962, tra le due Berlino la frontiera fu ulteriormente fortificata militarmente da un altro muro di cemento armato: fu così eretta la “striscia della morte”, larga alcune decine di metri. Nel 1965 e poi nel 1975 il muro fu rinforzato e reso sempre più invalicabile: dal 1961 ci furono cinquemila tentativi di fuga coronati dal successo, ma anche più di duecento cittadini uccisi nel tentativo di fuga.
Il Muro era lungo più di 155 km, composto da lastre di cemento armato collegate da montanti di acciaio e coperti da un tubo di cemento, alto 3,6 metri. A partire dal 1975, il confine era anche protetto da recinzioni: un fossato anticarro di oltre cento chilometri; 302 torri di guardia con cechini armati; venti bunker e una strada illuminata per il pattugliamento lunga 177 chilometri. Se inizialmente erano disponibili alcuni punti di attraversamento del Muro, con il passare degli anni la Porta di Brandeburgo simbolicamente fu definitivamente chiusa.
Finalmente il 9 novembre 1989, il governo della Germania Est annunciò che le visite in Germania occidentale sarebbero state permesse: dopo questo annuncio molti cittadini si arrampicarono sul muro e lo superarono per raggiungere i fratelli dalla parte opposta. Durante le settimane successive piccole parti del muro furono demolite e portate via dalla folla come souvenir; in seguito fu usata attrezzatura industriale per abbattere quello che era rimasto. Si aprì la strada alla riunificazione tedesca che formalmente si concluse il 3 ottobre 1990.
Il Muro di Berlino è il simbolo più rilevante delle divisioni: allora erano quelle tra due blocchi che intendevano spartirsi i destini del mondo. Eppure successivamente, anche quando si è immaginato l’affermazione della democrazia come principio determinante per le sorti del pianeta, si sono eretti altri e più drammatici muri. Quelli dell’incomprensione e quelli dell’odio verso gli altri, coloro che venivano nel nostro mondo per sfuggire alla fame, alle guerre, ai soprusi ed aberrazioni: gli immigrati.
E quei muri sono prima stati simbolici, poi sempre più visibili: sebbene non ci sono numeri certi, pare che siano circa ottanta le barriere al mondo, per dividere etnie, gruppi religiosi o per ragioni di sicurezza.
Per offrire qualche esempio a noi più vicino, si può pensare alle barriere delle città di Ceuta e Melilla che dividono la Spagna dal Marocco; quelle che separano la Turchia dalla Grecia e dalla Bulgaria. Altri muri di protezione dei confini si trovano fra Ungheria, Serbia e Croazia per fermare la rotta balcanica dei migranti. Un altro punto di divisione è Calais, in Francia, dove si cerca di raggiungere l’Inghilterra. A est, invece, Lituania, Lettonia ed Estonia hanno innalzando barriere sul confine con la Russia sempre a scopo protettivo. Poi sono da citare i muri separatori in Irlanda del Nord nelle città di Belfast e Derry.
Si tratta dunque di un andamento contrario a ciò che si penserebbe nell’era della globalizzazione e dell’accorciamento delle distanze, delle comunicazioni e dei mercati raggiungibili con la tecnologia. In un’epoca che dovrebbe essere senza barriere, si riscontra la costruzione fisica di simboli di separazione. Il pretesto è di realizzare una protezione e una sicurezza per i cittadini, la realtà è l’allontanamento dei diritti e delle libertà degli uomini.
Il mondo dei muri, anziché essere strumenti per dare risposte ai problemi più urgenti, causa il rischio dell’isolamento, della chiusura, della limitazione degli orizzonti di vita: tutto ciò si traduce in una sempre maggiore violenza, figlia della frustrazione e della paura, spesso alimentata volontariamente dalla stessa politica.
Pasquale Martucci
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